Sulla scrivania dove lavoro, a casa, ci sono una serie di libri, block notes, plichi e cartelle. Sono il termometro di quello su cui sto lavorando di più negli ultimi tempi. Dall'altezza di una cartelletta o dal numero di libri sullo stesso argomento si potrebbe valutare a che punto sono su un determinato progetto o quanto materiale sono riuscito a raccogliere prima di mettermi a scrivere in proposito. Certo, noterete i due dizionari che uso più frequentemente per le traduzioni, lì, a portata di mano. E anche una tavola di Ilaria Alpi appesa alla parete. Ma non solo di fumetti si tratta. In alcuni plichi, c'è il materiale per le inchieste giornalistiche e gli articoli che scrivo qua e là. Documenti, foto, ritagli di giornale, qualche dvd. Insomma, sembrerei quasi un giornalista serio...
Ci stavo facendo caso poco fa, mentre approfittavo di una pausa dalle traduzioni, per sistemare nuova documentazione nel cassetto, nel plico “porto di Trapani”, che per la verità dovrei separare in due cartellette: “Porto di Trapani” e “Mannina & Co.”. Sul porto ho già scritto l'articolo, anzi scrivendo questo post mi sono ricordato la promessa di postarlo qui. Per “Mannina & Co.”, vedo che se la cartella continua a crescere fra qualche mese rivaleggerà la cicciuta cartelletta gialla con su scritto a pennarello nero “Ilaria Alpi”. Da lì ne è nato un fumetto. Da quell'altra cartella invece finora è nata solo tanta indignazione.
In questi giorni ho fatto un'overdose di documentazione su roba mafiosa. Prima, a giugno, per scrivere il mio racconto per Resistenze, ho cominciato a leggere un po' di resoconti di poveri disgraziati costretti a pagare il pizzo. In queste due settimane, in occasione dell'anniversario della morte di Borsellino, tra la vita in redazione e quello che passa in Tv ho avuto un'overdose multisensoriale. E sto riprendendo due progetti ambientati in Sicilia, all'ombra della mafia, per due nuovi volumi di cronaca a fumetti. E nel frattempo, il plico “Mannina & Co.” continua a crescere.
Faccio sali e scendi tra Trapani e Palermo, capitali della mafia, e vedo che le città restano totalmente indifferenti a celebrazioni e anniversari. E dire che sono passati solo 15 anni. Intanto aumentano i grossi appalti e aumenta la preoccupazione da parte di chi già sa a chi andranno in tasca quei soldi (magari stavolta non a Pellegrino, Mannina & Co.). Allora? Sarebbe meglio restare senza strade, senza metropolitana, senza palazzi ristrutturati, mi chiederete? Sì. Cazzo sì. Meglio vivere nel degrado che dare soldi ai mafiosi su un piatto d'argento, se non si è in grado di depurare realmente (e non a parole) il sistema degli appalti da connivenze e intrighi. Perché è questo che si meritano i siciliani, il degrado e i disservizi. Perché girare la faccia dall'altra parte durante la commemorazione di chi ha pagato con la vita per l'integrità di questo popolo, vuol dire non meritarsi nulla di buono. E allora vaffanculo.
La mafia ha vinto, amici miei. La mafia ha vinto perché è riuscita a farsi dimenticare. È diventata oggetto di fiction, quasi una creatura mitologica. Ci siamo dimenticati che le leggende nascono da basi di realtà, e questa realtà non è lontana. Non mi riferisco alla distanza cronologica dell'“attentatuni”, ma alla vicinanza del “sistema mafia” che fa leva su mentalità, abitudini, rassegnazioni che permettono a Cosa Nostra di insinuarsi nella vita quotidiana. Dal pizzo, ai motorini rubati, agli atteggiamenti aggressivi, anzi appunto mafiosi. Basta clamore, si saranno detti, governiamo in silenzio sugli ignoranti e su chi vuole ignorare, tanto lo Stato lo permette. Ma prima di tutto, lo permettono i siciliani, che a quello Stato (e Regione, e Provincia, e Comune) regalano i propri voti e la propria dignità.
Scusate lo sfogo, ogni tanto ci vuole. Ok, torno a tradurre storie di tizi in calzamaglia che si picchiano.
Update 16:25: Per restare in tema, ecco una
lettera indignata di Salvatore Borsellino (
qui il testo integrale), fratello di Paolo, a lungo silenzioso ma che, a quanto pare, non può più resistere.