27 giugno 2011

Dieci cose che ho imparato su New York



Fa un effetto strano girare per New York City. Una mia amica newyorchese ha apprezzato questa mia metafora: é come vedere finalmente dal vivo un quadro che si é visto mille volte riprodotto su carta, al cinema o in televisione. Quando la si vede con i propri occhi, c'é una strana sensazione di familiarità, eppure non si conosce praticamente nulla.
Chi é cresciuto a pane e cultura americana, specie se come me appassionato di certi film, certa letteratura, certa musica e certi fumetti, riconoscerà strade e palazzi, e persino facce, ma li vivrà certamente in maniera inedita, insolita.
Ecco dunque dieci consigli/sensazioni/esperienze, per cui devo ringraziare, oltre alla guida Lonely Planet, le amiche Leda e Danielle (oltre che ovviamente la mia straordinaria compagna di viaggio e di vita Oriana).

1 - Se siete bassi e scuri come il sottoscritto, facile che vi scambino per messicani o spagnoli. Pur di evitare i commenti su Berlusconi o i paragoni con certi tamarrissimi italoamericani del Jersey (a cui i Soprano fanno un baffo, in quanto a eleganza) non é necessariamente un male.

2 - C'é praticamente un giorno a settimana per ogni museo in cui é possibile entrare gratis, ad esempio il venerdì al Metropolitan. Ma se volete evitare le file, la folla e di andare appresso ai giorni suddetti, esistono diversi pass prenotabili anche on line che offrono notevole risparmio e corsie preferenziali.

3 - A proposito di musei, il Metropolitan é davvero straordinario. Ma armatevi di cartina e pazienza, é davvero dispersivo. Non fatevi intimidire dai cartelli con le cifre in biglietteria: l'ingresso é a offerta libera. Oltre che dai turisti (il MET é l'attrazione piú visitata della città) il museo é animato da molti newyorker in visita solo per un caffé, per leggere, o per scroccare il wi-fi gratuito.

4 - Tutti hanno l'iPhone. Tutti, é incredibile. E negli Apple Store (capolavori dell'architettura e del marketing) c'é quotidianamente la fila per comprare gli iPad. Ma cazzo se ne vale la pena.

5 - Ogni tassista parla una lingua a sè. Generalmente, da quanto ho visto, i neri ti chiamano man, i piú giovani buddy, praticamente nessuno ti chiama sir.

6 - La domenica sera al Mermaid Inn, nel Lower East Side, c'é il Lobsterpalooza. Buonissima Aragosta (in realtà é una specie di astice dell'Atlantico, ovviamente d'allevamento) da mezzo chilo piú condimenti a 20 bucks scarsi.

7 - Sempre a proposito di locali, consiglio almeno un paio di posticini dove bere o mangiare ascoltando buona musica dal vivo. E non parlo di concerti jazz, ma di pianobar. Quando penso ai pianobar in Italia mi vengono in mente sosia sudaticci di Umberto Smaila che cantano in grigi locali circondati da spiacenti single cinquantenni. Nella Grande Mela invece Si assiste a interpretazioni degne di Broadway, visto che camerieri e cantanti sono all'inizio della carriera nel mondo dei musical. Sto parlando dell'Ellen Stardust Diner, proprio sulla Broadway a pochi passi da Times Square, con un look and feeling molto Happy Days (dai vestiti dai camerieri alle decorazioni alle pareti), dove viene servita un'ottima cheesecake mentre graziose cameriere ballano e cantano su una passerella tra i tavoli. E parlo anche di Brandy's, localino molto più intimo e certamente meno turistico nell'Upper East Side, punto di riferimento per la comunità gay della zona, dove é possibile sorseggiare discreti cocktail mentre dal pianoforte un bravissimo giovanotto canta pezzi di Elton John o la barista intona Summertime. O per un dollaro, quello che volete.

8 - Il paradiso per gli amanti delle magliette e dell'urban style é Yellow Rat Bastard, sulla Broadway, tra Grand e Broome Street. É immenso, all'interno di quello che sembra un magazzino non utilizzato, e ha t-shirt per tutti i gusti, da quelle in materiale ecologico a le splendide Junk Food a prezzi stracciati (considerate che in Usa una maglietta JF costa sui 25 $, in Italia si trovano quando a bene a 45-50 €.

9 - Lo zoo di Central Park é proprio quello del film Madagascar, ma a parte i pinguini, che in effetti sono simpatici anche dal vivo, purtroppo mancano i protagonisti del film. Vero anche che lo zoo é piuttosto piccolo, tragedia più per gli animali che per i visitatori. É bellissimo invece passeggiare nel cuore del parco, quando tra gli alberi non si possono persino piú vedere i palazzi. Ed é incredibile che nella metropoli apparentemente piú urbanizzata del mondo ci sia un polmone verde cosí grande e pulsante, cosí amato e custodito. Generalmente, in ogni caso, i newyorchesi sembrano sempre piú attenti alle tematiche ecologiche e per capire quanto amino gli animali da compagnia, basti vedere quanto siano forniti e visitati i negozi appositi. Oppure passeggiare per l'Highline, la vecchia ferrovia sopraelevata riqualificata come passeggiata tra il verde.

10 - Se volete andare in Usa, fatevi una carta di credito. Le debit card (tipo Postepay o Paypal) non vengono accettati ovviamente in alcune occasioni, come negli hotel o per noleggiare auto, ma anche alcuni negozi e ATM creano problemi. Per le carte del circuito Maestro, é uno stillicidio. Considerato che gli americani pagano con la carta anche le spese irrisorie (comprese le inevitabili mance) e che quando favorite le monetine venite guardati come dei pazzi e/o maleducati, meglio adeguarsi.

(la foto qui su l'ho scattata dal traghetto per Brooklyn)

10 giugno 2011

Riappropriamoci delle parole (e dei sì)




Ripropongo qui un pezzo che ho già scritto per il blog su L'Unità. Non lo faccio mai, ma a questo tengo particolarmente.
Chiamatelo “Berlusconismo”, chiamatela “seconda repubblica”, chiamatelo come volete, ma pensate per un attimo a quanto la comunicazione politica, giornalistica e sociale sia cambiata da quella famigerata “discesa in campo” (giusto per citare un’altra locuzione post-berlusconi). Ma se davvero il vento sta cambiando, se davvero gli italiani vogliono mettere da parte un decennio e mezzo di furberie politiche, mancanze di rispetto verso le istituzioni, volgarità e piccolezze, il percorso passa anche dalle parole, dal loro uso e dal loro significato.
Ho sorriso quando ho visto quel “Forza Italia” sulla copertina dell’Espresso della scorsa settimana: sarebbe bello poterlo gridare allo stadio o in piazza (così come “forza azzurri”) senza dover pensare all’ufficio marketing che lanciò il partito-telenovelas-spottone del ’94. È bello sentire i vincitori delle elezioni amministrative a Milano e Napoli parlare di libertà: la libertà dal malaffare o dalla cattiva politica, la libertà vera. Non quella venduta come un prodotto a un “popolo” che invece sembra invece conoscere solo l’asservimento al padrone/presidente e alle sue libertà personali, in politica, a letto, negli affari, in tribunale.
Sarebbe bello che si tornasse a parlare di “cancro” non per offendere persone o tantomeno istituzioni, ma solo per ricordare il dramma di chi soffre o sostenere la ricerca.
È stato bello, quasi commovente, sentire parlare Ilvo Diamanti di “bene comune”, lunedì sera all’Infedele di Lerner (altro covo di pericolosi “comunisticomunisticomunisti!”), locuzione dimenticata anche a sinistra.
E sarà senz’altro bello tornare a dire di sì. Gli elettori della sinistra sono stati abituati, anzi spinti, a dire “no”. No al ponte, no alla Tav, no alle piattaforme petrolifere. Il “no” mi è sempre sembrato violento, perentorio, persino sgarbato, poco propositivo, poco di sinistra. Certo, rappresenta fermezza e decisione, e rifiuto dei compromessi. Ma sarà un altro soffio di vento nella giusta direzione, domenica 12 e lunedì 13 giugno dire sì per dire no: dire sì all’acqua a portata di tutti e libera dal giogo del profitto, dire sì alle energie alternative, rinnovabili e pulite, dire sì a un paese dove tutti hanno gli stessi diritti, e dove nessuno può pensare di essere processato diversamente dagli altri tutti. Dire sì a un’Italia dove tutto può essere usato nel modo più giusto. A cominciare dalle parole.

6 giugno 2011

Marco Pantani - Het einde van de Piraat



L'editore olandese Sylvester, che ha già pubblicato in Benelux una bella e fortunata edizione del nostro Peppino Impastato - un giullare contro la mafia, darà alle stampe giusto in tempo per il Tour de France l'edizione fiamminga de Gli ultimi giorni di Marco Pantani. Il fumetto tratto dal romanzo di Philippe Brunel e disegnato da Lelio Bonaccorso che abbiamo realizzato per Rizzoli ottiene dunque la sua prima edizione straniera (grazie all'editore Silvio Van Der Loo e al traduttore, l'amico Frederik Van Wonterghem)... e qualcosa mi dice che non sarà l'ultima.

4 giugno 2011

Per le strade dell'Habana Vieja



La Vieja Maria fuma il suo ennesimo cohiba della giornata. Il mitico Pedrito, il gatto più coccolato di Cuba, che le ha fatto compagnia negli ultimi 4 anni della sua lunga vita, fa amicizia con i passanti. Maria sta per incontrare un uomo. Dovrà semplicemente dargli delle indicazioni, ma solo puntando un dito contribuirà a fare la Storia.

(da Que viva el Che, edizioni Beccogiallo, ottobre 2011, storia di Marco Rizzo, disegni di Lelio Bonaccorso)