Ho appena finito di leggere S., l'ultimo volume di Gianni Pacinotti, al secolo Gipi. Proprio come Giovanni Di Gregorio e Claudio Stassi, che mi hanno fatto scoprire e amare questo grande autore, mi avevano anticipato, è una storia toccante, densa, coinvolgente. Si legge tutta d'un fiato nonostante il tanto testo e nonostante il lettering a mano non sia sempre leggibilissimo. Le tavole sono sempre piene di atmosfera e poesia, il linguaggio è ritmato e reale. Ma queste sono parole da recensione. Volumi come S. non possono essere descritti con un'analisi fredda.
S. parla di Gipi e del rapporto con la sua famiglia, in particolare con Sergio, suo padre. E' una vera autobiografia, ma non di quelle pompose ed egocentriche, invece di quelle che sembra di sbirciare dalla serratura, coinvolgendoti e commuovendoti.
Mi ha fatto pensare a mio padre, una persona che stimo enormemente, ma a cui per la verità non l'ho mai detto. E al nonno che non ho mai conosciuto di persona, ma che ho conosciuto tramite quello che scriveva e che leggeva, passando i pomeriggi nel suo studio lasciato dalla nonna così com'era, tra quell'enorme collezione di francobolli e i libri che gli suggeriva il partito. E anche al nonno che conosco e che vedo ancora, dai modi rudi, con le mani ruvide e lo sguardo stanco di chi ha lavorato tutta la vita e sofferto per due vite.
Davanti a persone come loro, e davanti a personaggi come S. e, si, anche davanti ad autori come Gipi, mi sento piccolo, insignificante, incompleto.