Stamattina poco prima di mettere piede in redazione sono stato spedito in procura. Questo è il risultato...
Mafia, arrestato Giuseppe Grigoli
Era il 'cassiere' di Messina Denaro
L'imprenditore originario di Castelvetrano era a capo di un vero e proprio impero economico, che specie attraverso dei supermercati, si espandeva in tutta la Sicilia occidentale. Messina Denaro controllava e appoggiava le imprese di Grigoli, usando i contatti con Provenzano e gli altri capi mafia per favorire l'espansione dell'impero. L'operazione confermerebbe ciò che gli investigatori della Dia sostengono da tempo, ossia una “terziarizzazione” della mafia
“Matteo Messina Denaro e Giuseppe Grigoli sono la stessa cosa: non si può chiedere il pizzo ai supermercati di Grigoli”. È questa dichiarazione del pentito agrigentino Maurizio Di Gati, riferita alle tensioni tra il superlatitante e il boss della città dei templi, Giuseppe Falsone, ad avere incastrato l'imprenditore castelvetranese Grigoli. Ma la vera svolta che ha portato all’arresto di Giuseppe Grigoli, avvenuto stamattina, si deve alla decifrazione di alcuni “pizzini” scambiati tra Provenzano, Messina Denaro e Falsone, dove il nome dell’imprenditore, e la sua importanza per la cosca mafiosa trapanese, erano scritte nere su bianco. L’espansione dell’impero economico di Grigoli nell’agrigentino non era ben vista dai capi mafia locali, che esigevano la “messa a posto” anche dall’imprenditore vicino a Matteo Messina Denaro: ecco quindi che da Agrigento e Trapani sono partiti i “pizzini” per il capo dei capi, mediatore dal potere inequivocabile.
L'impero di Grigoli. L’operazione si deve all'operazione congiunta tra la Polizia di Stato e la Dia di Palermo, Trapani e Agrigento, e ha puntato a minare il potere economico di Cosa nostra, attaccando in uno dei suoi filoni più redditizi: la grande distribuzione. Grigoli, infatti, era a capo di grossi gruppi imprenditoriali, su tutti il Gruppo 6G.d.o. Srl. Attraverso questa società possedeva una quota azionaria del 10 per cento della Despar Italia, ed era proprio il marchio Despar ad averlo accompagnato nella sua espansione nella provincia di Trapani e più recentemente in quelle di Agrigento e Palermo. Oltre alla misura di custodia cautelare, Grigoli ha subito il sequestro di beni e disponibilità finanziarie per 200 milioni di euro, ma “non è facile quantificare la vera cifra, le indagini sulla contabilità la accerteranno”, è stato precisato nel corso di una conferenza stampa stamattina. Di certo, tra il 1999 e il 2006, il capitale sociale della società di Grigoli è passato da 80.000 euro a 12.500.000 euro, e sono ben 49 i supermercati a lui intestati. L'imprenditore aveva già subito in passato un processo (conclusosi con la sua assoluzione) sulle ombre che attorniavano la costruzione del suo impero. Stavolta però, gli investigatori sono convinti che le prove siano decisive e schiaccianti.
La distruzione di un monopolio. Solitamente, ha precisato il procuratore della repubblica Francesco Messineo, “non si dedicano conferenze stampa a provvedimenti di custodia cautelare, ma l’aspetto quantitativo, la partecipazione di Matteo Messina Denaro e il coinvolgimento della grande distribuzione rendono questa operazione importantissima”. “Speriamo che questa operazione porti a un ripristino della democrazia economica nelle tre province – ha dichiarato il sostituto procuratore Roberto Scarpinato – la forte presenza mafiosa porta a una sorta di oligopolio nel settore, anzi quasi a un vero e proprio monopolio”. Scarpinato ricorda che “la mafia si sconfigge disarticolando sul territorio ciò che permette quel controllo economico”. Un monopolio che fino a poco tempo fa faceva capo a un solo burattinaio, Bernardo Provenzano. Adesso che non c’è più Provenzano a mediare, però, non è da escludere che i mafiosi riescano comunque a discutere, e a mettersi d’accordo, senza ricorrere al clamore delle armi.
Marco Rizzo (20 dicembre 2007 - da Ateneonline)
Così la mafia controlla i supermarket
Gestori e dipendenti scelti dai boss
Il legame tra l’imprenditore Giuseppe Grigoli e il boss Matteo Messina Denaro era a due sensi: se da un lato ogni volta che Grigoli si trovava in difficoltà finanziarie o necessitava di confrontarsi con i capimafia interveniva il mafioso, dall’altro, è probabile che il boss usasse la grande distribuzione per il riciclaggio di denaro sporco (ma si tratta al momento di un’intuizione investigativa). Un’analisi che confermerebbe ciò che gli investigatori della Dia sostengono da tempo, ossia una “terziarizzazione” della mafia, che oltre che al settore edilizio prende di mira anche il mercato dei servizi e, appunto, la grande distribuzione. Un settore che si espande con facilità sul territorio, che garantisce grossi traffici di merci e anche gestione mirata del personale.
Lo stesso Matteo Messina Denaro ha spiegato, in uno dei suoi pizzini, come controllando la distribuzione, e applicando a monte uno sconto dell’1 per cento, i supermercati potevano utilizzare per la “messa a posto” quell’1 per cento al mafioso locale. Inoltre, i gestori dei punti vendita erano scelti dai boss, e non è da escludere che “segnalassero” alcuni dipendenti: una forma di controllo del potere locale già vista. Attualmente le aziende sono state sottoposte ad amministrazione giudiziaria.
Marco Rizzo (20 dic 2007 - da Ateneonline)
Mafia, arrestato Giuseppe Grigoli
Era il 'cassiere' di Messina Denaro
L'imprenditore originario di Castelvetrano era a capo di un vero e proprio impero economico, che specie attraverso dei supermercati, si espandeva in tutta la Sicilia occidentale. Messina Denaro controllava e appoggiava le imprese di Grigoli, usando i contatti con Provenzano e gli altri capi mafia per favorire l'espansione dell'impero. L'operazione confermerebbe ciò che gli investigatori della Dia sostengono da tempo, ossia una “terziarizzazione” della mafia
“Matteo Messina Denaro e Giuseppe Grigoli sono la stessa cosa: non si può chiedere il pizzo ai supermercati di Grigoli”. È questa dichiarazione del pentito agrigentino Maurizio Di Gati, riferita alle tensioni tra il superlatitante e il boss della città dei templi, Giuseppe Falsone, ad avere incastrato l'imprenditore castelvetranese Grigoli. Ma la vera svolta che ha portato all’arresto di Giuseppe Grigoli, avvenuto stamattina, si deve alla decifrazione di alcuni “pizzini” scambiati tra Provenzano, Messina Denaro e Falsone, dove il nome dell’imprenditore, e la sua importanza per la cosca mafiosa trapanese, erano scritte nere su bianco. L’espansione dell’impero economico di Grigoli nell’agrigentino non era ben vista dai capi mafia locali, che esigevano la “messa a posto” anche dall’imprenditore vicino a Matteo Messina Denaro: ecco quindi che da Agrigento e Trapani sono partiti i “pizzini” per il capo dei capi, mediatore dal potere inequivocabile.
L'impero di Grigoli. L’operazione si deve all'operazione congiunta tra la Polizia di Stato e la Dia di Palermo, Trapani e Agrigento, e ha puntato a minare il potere economico di Cosa nostra, attaccando in uno dei suoi filoni più redditizi: la grande distribuzione. Grigoli, infatti, era a capo di grossi gruppi imprenditoriali, su tutti il Gruppo 6G.d.o. Srl. Attraverso questa società possedeva una quota azionaria del 10 per cento della Despar Italia, ed era proprio il marchio Despar ad averlo accompagnato nella sua espansione nella provincia di Trapani e più recentemente in quelle di Agrigento e Palermo. Oltre alla misura di custodia cautelare, Grigoli ha subito il sequestro di beni e disponibilità finanziarie per 200 milioni di euro, ma “non è facile quantificare la vera cifra, le indagini sulla contabilità la accerteranno”, è stato precisato nel corso di una conferenza stampa stamattina. Di certo, tra il 1999 e il 2006, il capitale sociale della società di Grigoli è passato da 80.000 euro a 12.500.000 euro, e sono ben 49 i supermercati a lui intestati. L'imprenditore aveva già subito in passato un processo (conclusosi con la sua assoluzione) sulle ombre che attorniavano la costruzione del suo impero. Stavolta però, gli investigatori sono convinti che le prove siano decisive e schiaccianti.
La distruzione di un monopolio. Solitamente, ha precisato il procuratore della repubblica Francesco Messineo, “non si dedicano conferenze stampa a provvedimenti di custodia cautelare, ma l’aspetto quantitativo, la partecipazione di Matteo Messina Denaro e il coinvolgimento della grande distribuzione rendono questa operazione importantissima”. “Speriamo che questa operazione porti a un ripristino della democrazia economica nelle tre province – ha dichiarato il sostituto procuratore Roberto Scarpinato – la forte presenza mafiosa porta a una sorta di oligopolio nel settore, anzi quasi a un vero e proprio monopolio”. Scarpinato ricorda che “la mafia si sconfigge disarticolando sul territorio ciò che permette quel controllo economico”. Un monopolio che fino a poco tempo fa faceva capo a un solo burattinaio, Bernardo Provenzano. Adesso che non c’è più Provenzano a mediare, però, non è da escludere che i mafiosi riescano comunque a discutere, e a mettersi d’accordo, senza ricorrere al clamore delle armi.
Marco Rizzo (20 dicembre 2007 - da Ateneonline)
Così la mafia controlla i supermarket
Gestori e dipendenti scelti dai boss
Il legame tra l’imprenditore Giuseppe Grigoli e il boss Matteo Messina Denaro era a due sensi: se da un lato ogni volta che Grigoli si trovava in difficoltà finanziarie o necessitava di confrontarsi con i capimafia interveniva il mafioso, dall’altro, è probabile che il boss usasse la grande distribuzione per il riciclaggio di denaro sporco (ma si tratta al momento di un’intuizione investigativa). Un’analisi che confermerebbe ciò che gli investigatori della Dia sostengono da tempo, ossia una “terziarizzazione” della mafia, che oltre che al settore edilizio prende di mira anche il mercato dei servizi e, appunto, la grande distribuzione. Un settore che si espande con facilità sul territorio, che garantisce grossi traffici di merci e anche gestione mirata del personale.
Lo stesso Matteo Messina Denaro ha spiegato, in uno dei suoi pizzini, come controllando la distribuzione, e applicando a monte uno sconto dell’1 per cento, i supermercati potevano utilizzare per la “messa a posto” quell’1 per cento al mafioso locale. Inoltre, i gestori dei punti vendita erano scelti dai boss, e non è da escludere che “segnalassero” alcuni dipendenti: una forma di controllo del potere locale già vista. Attualmente le aziende sono state sottoposte ad amministrazione giudiziaria.
Marco Rizzo (20 dic 2007 - da Ateneonline)
2 commenti:
spero siano colpi "giusti"
spero siano seguiti da un adeguato processo rapido e serio
sono in realtà invece convinto che in gran parte sia le azioni di polizia/magistratura siano un po' zoppicanti (leggere, facilmente chiuse senza quanto necessita poi in fase processuale oppure troppo lente) e che le mani dei giudici nei tribunali poi siano letteralmente disarmate dalle leggi che abbiamo
e temo che servirà troppo tempo per verificare se ho ragione, in questo caso, o meno
saluti e buon natale
Dav
spero Dav tu abbia torto.
Credo ad un rinnovamento messo in atto da divrsi anni dalla polizia e dalla squadra antiracket. squadre che lavorano ogni giorno con il massimo sforzo rischiando veramente grosso. Spero tu abbia torto e che le istituzioni facciano quello che quasi sempre dimenticano di fare.
Siamo in un momento difficile ma anche in un momento esaltante... dobbiamo farcela... voglio crederci.
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