Penultimo raccontino su SettePerUno, tra i locali di via Candelai, uno dei punti di ritrovo della Movida di Palermo, a cui sono molto affezionato per inevitabili rimembranze universitarie.
Qualcosa non quadrava: a conti fatti, era impossibile che Valerio, detto Apache, avesse partecipato alla Guerra del Golfo. Sarà per il suo aspetto che ‒ beato lui ‒ lo posizionava in un’età indefinita tra i 30 portati così così e i 40 portati bene, ma quando raccontava, perdendosi in dettagli, missioni militari e avventure degne dei peggiori film propagandistici hollywoodiani non lo si riusciva a prendere sul serio.Continua qui.
Ce n’era una, in particolare, che aveva fatto quasi intenerire la band: durante una tempesta di sabbia nel deserto di chissàdove, Valerio si era rifugiato dentro un elicottero da guerra Apache insieme a una giornalista svedese da cartolina. E ovviamente, era stata la notte di sesso più lunga, passionale e focosa di tutta la storia della Mesopotamia, della Svezia e della Sicilia. Valerio da allora era stato soprannominato “Apache”, prima segretamente, poi sottilmente, poi spudoratamente, da tutti gli amici di sempre, i colleghi all’Inps (nella vita reale era un comunissimo impiegato) e anche dai membri della band (che si guardavano bene dal chiamarlo così sul palco, però).
Se bravo non era a condire le sue minchiate, Apache era bravissimo però al basso.
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